Caro Avvocato,
sono impiegata in una grande società di import- export e mi occupo di marketing. Da qualche mese è arrivato un nuovo responsabile a cui dal primo giorno non sono stata simpatica e per questo mi assegna incarichi non proprio di marketing ma piuttosto di segreteria. Un giorno durante una riunione ho fatto presente il mio malessere per questa situazione e lui guardandomi fissa negli occhi mi ha detto: “tutti sono utili e nessuno è indispensabile, se vuole può cambiare dipartimento quando vuole” e, dopo di che, non mi ha più neanche rivolto la parola. A seguito a questo scontro, anche i miei colleghi hanno iniziato ad emarginarmi ed io, che ho sempre amato andare a lavorare, la mattina mi sveglio ed alla sola idea di entrare in quell’ufficio mi sento male. Non so a chi rivolgermi dato che il mio responsabile è proprio lui e che ormai ho contro anche gli altri colleghi. Lei crede che sia vittima di mobbing e potrei chiedere un risarcimento per tutte le sofferenze che sto patendo a causa del comportamento del mio responsabile oppure dovrei cambiare dipartimento? Lucilla ‘78.
Cara Lucilla,
non sempre gli atti illegittimi posti, in essere dal datore di lavoro, perfezionano la fattispecie del mobbing. Questa è costituita da una condotta protratta nel tempo e diretta a ledere il lavoratore attraverso una pluralità di atti giuridici o meramente materiali, anche individualmente legittimi, da una volontà diretta alla persecuzione od all’emarginazione del dipendente e, dalla conseguente lesione del lavoratore dal punto di vista professionale o sessuale o morale o psicologico o fisico. Gli elementi identificativi del mobbing devono essere di volta in volta individuati nella reiterazione di richiami e sanzioni disciplinari ingiustificati o nella sottrazione di vantaggi precedentemente attribuiti che devono essere ripetuti nel tempo con l’intento del datore di lavoro di creare una situazione di seria e non transuente sofferenza nel dipendente.
Dunque, è proprio l’intendo di arrecare sofferenza ed il suo protrarsi nel tempo che distingue il mobbing da singoli atti illegittimi.
Nel suo caso, mi sembra vi sia stata “solamente” una mera dequalificazione, cioè un atto illegittimo, ma non una vera e propria condotta mobbizzante da parte del suo responsabile. Non ogni demansionamento così come non ogni altro atto illegittimo da luogo a mobbing. In definitiva, per la sussistenza del mobbing occorre che diverse condotte, alcune o tutte di per sé legittimi, si ricompongano in un unicum, essendo complessivamente e cumulativamente idonee a destabilizzare l’equilibrio psico-fisico del lavoratore.
In ogni modo, per chiarire la particolare figura del mobbing, di cui tutti parlano mi preme spendere due righe sull’argomento. Nel codice penale, nonostante il Consiglio Europeo, già dal 2000, ci chiede di adeguarci alla direttiva europea, non vi è traccia di una specifica figura incriminatrice per contrastare tale pratica persecutoria definita mobbing. Pertanto, la via penale non è percorribile ma certamente lo è quella civile, costituendo il mobbing titolo per il risarcimento del danno patito dal lavoratore in conseguenza di condotte e atteggiamenti persecutori dal datore di lavoro. Fondamento dell’illegittimità della condotta del mobbing - art. 2087 c.c. - è l’obbligo del datore di lavoro di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore. La responsabilità datoriale ha natura contrattuale e deve essere strettamente collegata con la normativa costituzionale posta a difesa del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e del rispetto della sicurezza, della libertà e della dignità umana nell’esplicazione dell’iniziativa economica (art. 41 Cost.). Infatti, il legittimo esercizio del potere imprenditoriale deve trovare un limite invalicabile nell’inviolabilità di tali diritti e nella imprescindibile esigenza di impedire comunque l’insorgere o l’aggravamento di situazioni patologiche pregiudizievoli per la salute del lavoratore, assicurando allo stesso serenità e rispetto nella dinamica del rapporto lavorativo, anche di fronte a situazioni che impongono l’eventuale esercizio nei suoi confronti del potere direttivo o addirittura di quello disciplinare.
Infine, per avanzare una richiesta di risarcimento del danno, il lavoratore dovrà provare la fonte negoziale o legale del suo diritto, la lesione all’integrità psico-fisica ed il nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’espletamento della prestazione lavorativa, cioè la riconducibilità del danno al titolo dell’obbligazione. E ciò in quanto la responsabilità datoriale, avendo natura contrattuale, è soggetta al regime probatorio previsto dall’art. 1218 c.c. (diverso da quello, di cui all’art. 2043 c.c., della responsabilità extracontrattuale) per cui grava sul datore di lavoro l’onere di provare di aver ottemperato all’obbligo contrattuale scaturito dal contratto di lavoro ovvero provare che l’inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile.
Avv. Alessandra Aimi